giovedì, giugno 16, 2005

Per il paradiso di Lars von Trier

Sarebbe troppo bello poter dire che questa è la storia di una donna buona, che offre completamente la sua vita ad un uomo, piena di una fede così infantile (e per questo piena di vincoli e di paure dato il contesto religioso “medioevale”) ma così grande;

Sarebbe bello poter credere che la salvezza di lui dipende dal sacrificio di lei, potrebbe essere un film che dipinge in maniera perfetta il ”miracolo” della fede.

Signore, “Credo”, quindi ti chiedo…
Ti offro un sacrificio, ti prego ascoltami…
Non ti sento, non ci sei più? Io mi sacrifico lo stesso, ci provo comunque, mi fido!

Potrebbe sembrare arroganza, è fede
Potrebbe sembrare demenza, è bontà


Lei muore vedendo lui ancora nella fossa, e la sua fede nonostante l’evidenza la porta a dire in punto di morte un “FORSE mi sono sbagliata”, è una fede "personale" che fa nascere continuamente nuove regole talvolta inspiegabili, contro la fede bigotta e vissuta secondo regole della comunità

E lui si salva!

Questa trama è semplicemente meravigliosa (per non parlare delle immagini-dipinto che segnano i vari capitoli col sotto fondo di canzoni anni `70, geniali...)

Ma allora, perché questo film mi ha lasciato una sensazione di rabbia e di fastidio addosso??

La risposta in un unico simbolo: le campane…

L’ “eloquenza” del miracolo sbeffeggia il sacrificio,
il “buonismo”, che in Dogville era stato condannato in maniera diretta e palese, qui è attaccato con le sue stesse armi.
Questa l'accusa alle intenzioni del regista fino a stamani.

Ma ora ho finalmente capito cos'è che mi ha dato veramente fastidio... e non ha niente a che fare col film.

Fatto sta che ieri sera dopo la visione del film, sono andata a dormire con la Suzanne di Cohen come ninna nanna!